Bhagavad-Gita
3° capitolo
Cos’è lo Yoga?
di Michael Dolan (B.V. Mahayogi)
(tradotto da Dhananjaya Das)
Introduzione al terzo capitolo della Gita
Potreste aver notato che i miei commenti sulla Bhagavad-Gita seguono un particolare punto di vista. Io credo che questo grande testo può essere avvicinato solo attraverso i grandi insegnanti che lo hanno studiato. Di questi grandi insegnanti, i commentari che meglio si adattano al testo evitano di distorcerne la sua tesi.
La tesi principale della Bhagavad-Gita
La tesi della Bhagavad-Gita, in effetti, è piuttosto chiara. Per esempio, Yamuna Acharya nell’undicesimo secolo riassume l’idea principale della Gita, in un libro chiamato Gita-Samgraha, come segue:
“La dottrina esposta dalla Bhagavad-Gita é che Narayana, che è il Supremo Brahman, può essere raggiunto solo per mezzo della bhakti che è determinata dall’osservanza del dharma, l’acquisizione della conoscenza e la rinuncia alle passioni”
Molti si sentono a disagio con una tale chiara interpretazione. Provano a rendere la Bhagavad-Gita un libro più misterioso, pieno di segreti. Ma la vera conoscenza impartita dalla Gita è un segreto di Pulcinella. Espone la dedizione a Dio. Dio è completamente identificato in Kṛṣṇa. Per esempio, alla fine del secondo capitolo, Kṛṣṇa dice ad Arjuna:
tāni sarvāṇi saṁyamya yukta āsīta mat-paraḥ vaśe hi yasyendriyāṇi tasya prajña pratiṣṭhitā
“Colui che controlla i sensi e fissa la mente su di Me è di ferma intelligenza”.
La parola “mat” qui sta a significare “me”. Se si cerca un’interpretazione “non settaria” della Gita si potrebbe dire che “me” ha un significato diverso. Dal momento che dico “me” quando parlo di me stesso e tu dici “me” quando parli di te stesso, noi siamo tutti dei “me”. “Me” significa “l’unitarietà” di “me”. Alla fine, non c’è distinzione tra te e me e noi siamo tutti uniti. Ma questa interpretazione scompare di fronte alla realtà. La Bhagavad-Gita può prestarsi ad una certa dose di interpretazione, ma l’idea che “tu” ed “io” siamo la stessa cosa dell’infinito “me” divino non è di buon senso. L’idea che noi siamo “uno” con il divino non è supportata da un’attenta lettura del testo.
Compendio di Yamuna dei primi sei capitolo
Il compendio di Yamuna, la Gita-Samgraha, è molto utile per cogliere il vero significato del testo. Secondo laversione di Yamuna, i primi sei capitoli della Bhagavad-Gita ci istruiscono davvero su comeottenere una posizione ben fondata nella comprensione dell’etica e della saggezza. Queste sono chiamate la via del karma o “azione” e del jnana, o “conoscenza spirituale”. Nel primo terzo della Gita, Kṛṣṇa insegna come l’azione dovrebbe essere dedicata, con la conoscenza dello yoga, araggiungere una relazione armoniosa tra anima e anima suprema. La saggezza, o un’appropriata comprensione dell’anima o atma, ci aiuta a bilanciare il nostro karma. Il vero dharma o religione significa vivere in armonia con la nostra vera condizione spirituale. Religione significa il corretto bilanciamento del bisogno di tenere insieme il corpo con l’anima e la dedizione a Dio. Le implicazioni di tale dedizione o bhaktisarà qui spiegata.
Come abbiamo visto, il primo capitolo della Gita è in gran parte materiale introduttivo, poiché arriva a metàdel grande poema epico Mahābharata. Nel bel mezzo della guerra di Kurukshetra, mentre gli eserciti opposti sono pronti per darsi battaglia, Arjuna è sconvolto ed esprima la sua incapacità di svolgere il suo dovere di guerriero. Osserviamo il dilemma morale in cui la conversazione si trasforma.
Nel secondo capitolo della Gita, Arjuna accetta Kṛṣṇa come suo guru o insegnante e chiede consiglio nel suo momento di dubbio. Qui il grande insegnamento della Bhagavad-Gita comincia a dispiegarsi. L’insegnamento di Kṛṣṇa è per il bene di Arjuna che, sopraffatto da attaccamenti inopportuni, ha preso rifugio in Kṛṣṇa.
Il secondo capitolo della Bhagavad-Gita, come abbiamo visto, spiega la natura dell’anima o atma. Questa analisi dell’anima o atma è chiamata “sankhya” che significa più o meno “analizzare” o “scomporre”. Kṛṣṇa analizza la natura dell’anima in relazione al mondo dello spazio e del tempo dove ogni cosa è temporanea. Kṛṣṇa spiega che un’analisi “sankhya” aiuta a comprendere la nostra vera posizione: che l’anima è eterna. Questo è il suo primo insegnamento, giacché questa consapevolezza ci guiderà in molte decisioni.
Cos’è lo yoga?
Molte persone sono confuse dall’abituale uso della parola “yoga”. Durante la sua analisi, Kṛṣṇa usa la parola “yoga”. Yoga ha molti significati. “Aggiogare” è un modo semplice per capire la parola “yoga”. È importante capire questa parola, “yoga”. l’idea di aggiogare due cose è un utile punto di partenza. Il giogo fu inizialmente usato in agricoltura nel sud est asiatico. Si attribuisce all’India l’aver inventato questo sistema per tenere sotto controllo due bufali allo scopo di trainare un aratro. È usuale considerare lo yoga come un modo di armonizzarsi con il divino. Cos’ha questo a che fare con il trainare un aratro?
La parola yoga può riferirsi a qualsiasi metodo che riporta in armonia elementi in opposizione. Due buoi tendono ad andarsene in direzioni diverse; Il giogo consente un gioco di squadra dei buoi, essenziale per l’agricoltura. Il nostro mondo è pieno di dicotomie; la divisione tra positivo e negativo, la dualità dello Yin e dello Yang, del maschile e del femminile, dello spazio e del tempo, dei mondi quantici relativistici, gli aspetti materiali e spirituali della nostra esistenza. Lo Yoga è uno sforzo verso il bilanciamento, l’armonia.
La parola “yoga” ha sicuramente preso molte diverse connotazioni oggi, che sono differenti dal suo uso antico. Nel nostro mondo tecnologico siamo interessati all’ottenimento dei risultati. Nessuna tecnica è utile a meno che non dia risultati. Ma Kṛṣṇa ha già detto ad Arjuna che noi non dobbiamo essere attaccati al risultato. Infatti, il nostro attaccamento materiale ai risultati del nostro karma è ciò che ci mette nei guai. I risultati karmici, dopo tutto, ci intrappolano nell’infinito ciclo di nascite e morti.
Qui nel tezo capitolo della Gita, Kṛṣṇa raffina l’idea di karma-yoga. Ma quando Kṛṣṇa parla di karma-yoga, non si riferisce ad una particolare serie di pratiche o tecniche intese a portare al risultato di avere un buon karma. In effetti ciò che Egli descrive è la necessita di portare la nostra azione in equilibrio, in armonia con la propria natura spirituale.
Kṛṣṇa vuole che Arjuna faccia di più che semplicemente seguire le regole del karma della propria casta nel varnāśrama-dharma. Egli capisce il bisogno di essere una “brava” persona, ma in senso più elevato Egli è interessato al paramahamsa-dharma, dove arrendersi alla divinità è il principio più alto.
Questi concetti vanno molto più in profondità di quello a cui siamo abituati quando pensiamo allo yoga. Mentre Kṛṣṇa e Arjuna esplorano l’idea di equilibrio nell’azione etica, in occidente noi siamo soliti pensare allo yoga come ad una serie di tecniche per stirare i muscoli. Le scuole occidentali di yoga hanno diffuso l’idea di usare lo tecniche dello yoga e le posture per migliorare l’equilibrio fisico. Le persone praticano yoga per portare il loro corpo in armonia così da poter affrontare lo stress tremendo della moderna vita materiale. Ma l’idea di “yoga” qui nel terzo capitolo della Gita ha uno scopo più elevato.
È utile allora pensare alla parola yoga in termini di “armonizzazione” di due elementi separati. Proprio come un direttore armonizza un certo numero di strumenti musicali in una sintesi unica, l’orchestra, così noi bilanciamo i differenti conflitti della vita in armonia attraverso diverse forme di “yoga”.
Si potrebbe anche pensare alle diverse scuole di yoga in termini di dialettica Hegeliana: tesi, antitesi, sintesi. Ogni volta che due idee sono in equilibrio, producono una sintesi superiore in una nuova idea. Il Karma da solo è mero sfruttamento: quando è bilanciato dallo yoga diventa sacrificio e porta all’illuminazione. La mera analisi, fare un passo indietro da tutto per acquisire una nuova prospettiva, implica la metacognizione, ma l’analisi materialistica è inconcludente. È come uscire dalla propria casa e guardare dalla finestra se si è in casa. Adeguatamente bilanciata dallo yoga, la conoscenza, o jnana com’è chiamata in sanscrito, conduce all’illuminazione e alla saggezza.
Il messaggio di Kṛṣṇa riguarda il come accoppiare il sacrificio e la saggezza. Come evidenziato da Yamuna, il messaggio essenziale di Kṛṣṇa nella Bhagavad-Gita è semplice: quando l’azione e la conoscenza sono in equilibrio perfetto, conducono alla sintesi più elevata di dedizione e amore divino nell’arresa a Dio. Questa è la perfezione dell’esistenza.
Come abbiamo visto, l’adeguato equilibrio tra saggezza e azione, amore e sacrificio è il vero oggetto di discussione della Bhagavad-Gita, che è un lavoro profondamente metafisico.
Nei prossimi capitoli, Kṛṣṇa e Arjuna dialogano sulle differenti pratiche di yoga, le appropriate forme di meditazione e le visioni della vita strategiche che conducono ad una vita in equilibrio ed armonia. Kṛṣṇa conclude che l’equilibrio più elevato si trova nella dedizione. Questa dedizione al principio divino è chiamato bhakti ed è considerato uno yoga superiore e non mera azione e conoscenza.
Nel secondo capitolo della Bhagavad-Gita,Kṛṣṇa ha iniziato spiegando che l’anima o atma è eterna e sopravvive alla morte del corpo. In effetti, si muove da un corpo all’altro, evolvendo consapevolmente da una vita a quella successiva. Questo mondo temporaneo non possiede una realtà eterna. In quanto tale è un’illusione, ed è saggio colui che distingue tra la realtà temporanea ed eterna. Così come una persona indossa nuovi abiti, lasciando da parte quelli vecchi ed inutilizzati, così noi cambiamo i corpi da una vita a quella successiva.
Nel terzo capitolo, Kṛṣṇa spiega che Arjuna dovrebbe compiere il suo dovere e seguire il sentiero del karma-yoga alla luce di questa saggezza. Karma-yoga qui ha la connotazione di “lavoro fatto in sacrificio” o “lavoro in armonia con uno scopo superiore”.
Kṛṣṇa dice ad Arjuna che in quanto guerriero dovrebbe quindi combattere, dal momento che armonizzare l’azione con il dovere porterà alla perfezione trascendente chiamata samadhi, o “equilibrio perfetto”. Quest’azione etica sarà perfezione trascendente per Arjuna la cui mente dovrebbe essere fissa nella meditazione.
Tutte queste discussioni metafisiche sembrano confondere. Arjuna vuole chiarezza. Cos’è meglio allora, l’azione o la meditazione?
Arjuna è interessato a sapere se è meglio seguire il percorso dell’azione o karma-yoga, oppure seguire il percorso della conoscenza e della saggezza che include la meditazione, jnana-yoga. Le ulteriori spiegazioni di Kṛṣṇa sono intese per la perfezione del dovere, o karma-yoga.
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